Il primo invito risale a subito dopo la condanna della corte dell’Aja, a riprova del fatto che il mandato di arresto internazionale emesso non avrebbe avuto alcun riscontro sul suolo d’Ungheria. E ora la visita ungherese del premier israeliano Benyamin Netanyahu, da molti considerato un genocida dei palestinesi, è divenuta realtà, fissata com’è dal 2 al 6 aprile, giorni in cui sarà in Ungheria, ricevuto dal primo ministro Viktor Orbán.
Si tratta di uno schiaffo mortale alla Corte penale internazionale, dopo che l’autocrate di Budapest aveva già dichiarato che non avrebbe rispettato l’ordine dell’Aja. La decisione dei giudici, arrivata a novembre 2024, è motivata da “crimini contro l’umanità” nei confronti di Netanyahu, e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant nell’ambito della guerra a Gaza. E in un rapporto di 154 pagine la Cpi ha evidenziato le “massicce vittime civili e le condizioni imposte ai palestinesi che mettono intenzionalmente a rischio la loro vita”.
Ricordiamo che i mandati sono stati emessi “per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi almeno dall’8 ottobre 2023 fino ad almeno il 20 maggio 2024, giorno in cui la Procura ha depositato le domande di mandato di arresto”, riferisce una nota parlando di “un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile di Gaza”. La Corte ha peraltro aggiunto che non è necessario che Israele accetti la giurisdizione della corte per emanare il mandato.
Ieri lo staff di Netanyahu aveva dato notizia della visita, mentre il portavoce del governo ungherese, Zoltan Kovacs, ha confermato che il macellaio israeliano sarà in Ungheria da mercoledì a domenica, senza fornire altri particolari sul suo programma. Sia Orbán che Netanyahu hanno calpestato il ruolo della Corte Penale Internazionale, benché i magiari, in quanto firmatari dello Statuto di Roma, siano giuridicamente vincolati a rispettare tutte le disposizioni emanate dall’Aja. Fra i dossier più delicati sul tavolo dei colloqui figura la possibile decisione di Budapest di trasferire l’ambasciata ungherese da Tel Aviv a Gerusalemme, una mossa che segnerebbe un’ulteriore rottura con la linea ufficiale dell’Unione Europea.