I salari italiani sono i più bassi fra i Paesi membri del G20, calo dell’8,7% dal 2008

Bandiera italiana

Nel nostro Paese gli stipendi reali permangono inferiori di 8,7 punti percentuali rispetto ai livelli del 2008. Lo certifica l’ultimo Rapporto mondiale sui salari dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), pubblicato in data si oggi, 25 marzo 2025. Questo dato consequenzialmente colloca l’Italia all’ultimo posto fra i Paesi membri del G20 in termini di crescita salariale nel lungo periodo.

Il documento dell’Ilo recita così: «L’Italia si distingue per una dinamica salariale negativa». In effetti la ripresa registrata nel 2024 non è stata sufficiente a recuperare le perdite subite negli anni di alta inflazione. Ne consegue che il potere d’acquisto dei salari rimane ampiamente eroso. Giulia de Lazzari, economista dell’Ilo evidenzia che «È il risultato peggiore tra le grandi economie mondiali».

Stando a quanto ha accertato l’Ilo, fra i Paesi a economia avanzata del G20, le perdite di salario reale dal 2008 al 2024 sono state dell’8,7% in Italia, del 6,3% in Giappone, del 4,5% in Spagna e del 2,5% nel Regno Unito. Un dato clamoroso e ampio in controtendenza è quello della Repubblica di Corea, che ha registrato un aumento salariale reale complessivo del 20%.

Ma c’è un ulteriore elemento chiave messo in risalto dall’Ilo è la produttività del lavoro. Dopo oltre due decenni (1999-2021) in cui i salari reali sono cresciuti più della produttività, dal 2022 si è invertita la tendenza: la produttività è aumentata più dei salari. Tuttavia, mentre nei Paesi ad alto reddito la produttività è salita in media del 30% dal 1999, in Italia essa è andata giù del 3%.

Non è una novità la perdita del potere d’acquisto degli stipendi in Italia, peggiore in confronto a quella di tutti gli altri Paesi europei. Però i nuovi dati diffusi oggi confermano come negli ultimi anni i recuperi siano stati modesti e insufficienti e il costo del lavoro per le imprese italiane rimanga notevolmente più basso rispetto a qualche anno fa. Questo è un vantaggio competitivo per le aziende italiane, ma un grave problema per i lavoratori.

In sostanza, a subire la perdita maggiore del potere d’acquisto sono i lavoratori a basso reddito perché sono quelli che spendono la parte più importante del loro salario in beni e servizi di prima necessità, tipo l’alloggio, l’energia e i beni alimentari. Dice ancoraa l’Ilo: «Per questi lavoratori un adeguamento dei salari solo sulla base dell’Ipc generale, le cui variazioni sono state meno severe rispetto agli altri due indici, comporta una perdita di potere d’acquisto».

E ancora: «Nel caso dell’Italia dove non esiste un salario minimo legale i salari vengono fissati attraverso la contrattazione collettiva. Le retribuzioni orarie nominali calcolate su una media dei Ccnl negli ultimi 10 anni sono aumentate del 15%. I termini reali le retribuzioni hanno subito una perdita del 5% e prodotto un calo del potere d’acquisto dei lavoratori».

Duro è il commento di due europarlamentari del Movimento 5 Stelle, Pasquale Tridico e Carolina Morace che scrivono in una nota congiunta: «I dati del rapporto mondiale sui salari rappresentano una doccia fredda per la premier Meloni e la ministra Calderone, che finora hanno sempre negato l’emergenza salari da fame nel nostro Paese. Nell’ultimo triennio il caro energia e l’alta inflazione sui beni di primo consumo hanno provocato un crollo dei salari reali di oltre il 4%, una prova del fatto che l’azione del Governo per contrastare l’aumento dei prezzi è stata totalmente fallimentare».

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